Neuroscienze del linguaggio musicale

La musica, come il linguaggio, ha una sua grammatica e sintassi. I musicisti hanno individuato ormai da secoli strutture ben precise come il tempo, il ritmo, la durata dei singoli suoni (le note), il timbro, la tonalità, la melodia.

Sebbene non comunichi significati concreti come le parole, la musica segue strutture e regole che il cervello riconosce, permettendo di predire cosa verrà dopo in una sequenza melodica, proprio come possiamo anticipare le parole in una frase.

Come il cervello elabora la musica

Fin dalla notte dei tempi si sa che la musica ha un notevole potere di evocare emozioni, motivo per cui ha da sempre accompagnato le manifestazioni sociali, dalle cerimonie religiose alle feste e alla guerra. Ma come fa il nostro cervello a comprendere e reagire emozionalmente alla musica? Quali meccanismi neurobiologici si attivano quando ascoltiamo una sinfonia o cantiamo una canzone?

Le neuroscienze del linguaggio musicale, un campo che esplora come la nostra mente percepisce e interagisce con la musica, stanno cercando di dare una risposta a questa domanda.

Quando ascoltiamo un brano particolarmente coinvolgente, si attivano aree del cervello come l’amigdala che svolge un ruolo importante nei circuiti e network cerebrali coinvolti nelle emozioni.  Questo spiega perché una melodia può farci piangere, sorridere o persino provare brividi lungo la schiena.

Studi di neuroimaging mostrano che la musica influenza anche la produzione di neurotrasmettitori come la dopamina e l’endorfina, che è associata al piacere e alla motivazione, e attiva il nucleus accumbens (collegato ai processi di ricompensa). È come se il nostro cervello venisse “ricompensato” dall’ascolto della musica, portandoci a cercare continuamente esperienze musicali.

Musica e linguaggio: un parallelismo sorprendente

Una delle scoperte più affascinanti della ricerca neuroscientifica riguarda la correlazione tra il linguaggio verbale e quello musicale. Entrambi coinvolgono strutture cerebrali simili, come l’area di Broca (importante per l’elaborazione del linguaggio) e l’area di Wernicke (coinvolta nella comprensione).

Ciò suggerisce che il cervello tratti la musica e il linguaggio come due forme di espressione che, pur essendo distinte, condividono processi cognitivi simili. Il filosofo Maurice Merleau Ponty ha suggerito che forse la prima forma di comunicazione tra gli umani non è stato il linguaggio, ma il canto.

Consonanze e dissonanze

L’alternanza tra ciò che percepiamo come assonanze e dissonanze è fondamentale per avere un brano musicale ben congegnato, a pena di avere qualcosa che assomiglia troppo al rumore oppure eccessivamente melodico e zuccheroso, e quindi noioso.

Un esempio classico della necessità di questa alternanza è la risoluzione della settima (dissonante) nella tonica (assonante), una struttura molto comune nella musica pop e non solo.

L’assonanza e la dissonanza sono fortemente radicati nelle nostre emozioni: un accordo dissonante richiama sensazioni come qualcosa di aspro, spigoloso e fastidioso; al contrario, un accordo assonante dolcezza, morbidezza e piacevolezza.

Secondo la neuroscienziata Alice Mado Proverbio (Neuroscienze cognitive della musica, Milano, 2019, pag.154), le ricerche condotte fino ad oggi sembrano evidenziare un legame piuttosto stretto tra questo radicamento emozionale e i nostri neuroni, in particolare tra la percezione dei suoni e la risposta in termine di piacere estetico.

La conclusione è che esiste una specie di codice estetico innato che governa le nostre sensazioni di piacevolezza/spiacevolezza ai suoni radicato a livello neurale, il che potrebbe spiegare il costante successo di massa della musica commerciale, che rispetta queste regole, e lo scarso successo della musica atonale, che volutamente le viola.

A livello più pratico, la capacità della musica dissonante di generare emozioni di paura, disagio e angoscia viene sistematicamente utilizzata nelle colonne sonore dei film horror, nei thriller e nelle scene di violenza.

Tonalità maggiore e minore

La tonalità maggiore viene tradizionalmente associata ad emozioni come l’allegria, la forza, la gioia, il coraggio, mentre la tonalità minore alla tristezza, alla malinconia, al rimpianto. I compositori conoscono molto bene questa regola, come anche il fatto che un ritmo e un tempo vivace sono più energici e attivanti di un tempo lento.

Per questo motivo requiem e marce funebri sono lente e scandite, e le canzoni di amore spesso ricorrono alla tonalità minore nei momenti in cui vogliono evocare tristezza e nostalgia.

La ricerca conferma quanto insegnato dalla tradizione, almeno nel mondo occidentale: sembra infatti che la distinzione minore e maggiore non valga in alcune culture, sia cioè culturalmente determinata e non innata in tutta la specie uomo.

Altre ricerche confermano invece la capacità dei neonati di distinguere i rapporti di frequenza tra i suoni e la loro preferenza per gli intervalli di quinta, sesta, terza, ottava, quarta, che sarebbero dunque non preferenze estetiche, ma risposte prefissate nel nervo acustico e nel tronco encefalico, e quindi universali al genere umano.

Variazioni

Ogni brano è un delicato equilibrio tra ripetizione e variazione. Senza variazioni, la musica diventa noiosa, e senza ripetizioni forse non si avrebbe neanche più la musica.

Le ricerche hanno dimostrato che la conferma delle aspettative quando ascoltiamo un brano è gratificante (si noti che ogni brano di musica pop è basata su strutture ripetitive e ricorrenti, ad esempio i ritornelli, il ritmo, i riff), mentre la variazione, l’imprevisto, può essere piacevole o spiacevole secondo i casi.

Ciò dipende dal tipo di emozione sollecitato: se sorpresa, la variazione è piacevole, se irritazione, spiacevole. Importanti sono anche il contesto compositivo in cui avviene la variazione e lo stile del brano.

Ritmo

Secondo il neuroscienziato Danny Li, il ritmo è qualcosa che si trova già nel nostro cervello, e in effetti non mancano studi su corrispondenze tra ritmo di una frase e oscillazioni delle cellule cerebrali.

Il nostro metronomo naturale sarebbe localizzabile in alcune strutture del tronco encefalico, anche se il processo coinvolge via via tutte le strutture fino alla corteccia e soprattutto alle aree motorie, come ben sanno gli amanti del ballo e della danza.

L’armonizzazione del nostro metronomo interno al ritmo delle strofe o della musica che stiamo ascoltando creerebbe la percezione e l’esperienza del viaggio dentro il ritmo.

Un punto interessante è che noi anticipiamo il ritmo, nel senso che il cervello si aspetta la ripetizione dello stesso modello ritmico. Se questo non accade perché interviene una variazione, il nostro cervello si attiva essendo predisposto a riconoscere qualsiasi minimo cambiamento nell’ambiente.

In ciò giocherebbe un ruolo l’ippocampo, una struttura coinvolta nella memoria, che sembrerebbe avere, tra l’altro, un ruolo nello “svegliarci” e porci in allerta quando qualcosa di insolito interrompe la monotonia dell’ambiente intorno a noi. La variazione è quindi importante per evitare la noia e mantenere viva l’allerta e l’attenzione.

Come accennato sopra, il ritmo è sempre stato strettamente associato alle emozioni e all’umore, cosa confermata dalle neuroscienze. Un tempo veloce può indurre felicità, un tempo lento riflessione e tristezza. Sembrerebbe che il: “Groove” (la compulsione a muoversi) sia massima nella fascia 100 – 130 battiti per minuto.

Familiarità

Anche la familiarità incide sull’esperienza di ascolto. Ascoltare a lungo un brano e abituarsi ad esso è la via maestra per trovarlo col tempo piacevole o interessante, motivo per cui anche la musica atonale col tempo trova il suo pubblico.

Forse la musica pop ci piace perché siamo costantemente esposti ad essa. Il lato negativo della familiarità è però che ce ne annoiamo facilmente, e abbiamo bisogno costantemente di nuove canzoni da consumare, leggermente diverse, ma non troppo, da quelle precedenti.

La musica nei film

La colonna sonora è parte essenziale di un film o un video forse anche più delle immagini, per i potenti effetti che essa ha nella percezione dei personaggi. Una musica dolce e melodiosa sottolinea la natura buona dei personaggi positivi, una musica dissonante e dai toni aspri quella malvagia dei cattivi.

La musica può quindi essere utilizzata per identificare un personaggio, ossia come un leitmotiv (motivo conduttore), o anche per marcare situazioni, luoghi o sensazioni. Wagner, uno dei più famosi musicisti di tutti i tempi, è maestro di questo tipo di tecnica nelle sue numerose opere liriche.

Vi sono altri aspetti del linguaggio musicale che andrebbero considerati, e che le neuroscienze hanno appena cominciato ad indagare, come lo stile e la complessità della composizione e del fraseggio musicale. Se ti capita di leggere nuovi studi e ricerche, scrivimi e provvederò a integrare questo articolo.

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla newsletter per ricevere contenuti simili. Oppure, leggi il mio ultimo libro, Neuroscienze della narrazione.

Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.