Saper scegliere le parole coinvolgenti per un post, un articolo o un annuncio è un problema comune a tutti coloro che scrivono, siano essi scrittori alle prime armi o professionisti della penna.
Il neuromarketing potrebbe oggi fornire una soluzione: tramite la strumentazione neuroscientifica è infatti possibile indagare l’impatto emozionale che hanno determinate espressioni in un contesto e su un target specifico.
Una ricerca in tal senso è stata effettuata dal professore Francesco Gallucci, un pioniere di queste metodologie. La notizia è riportata da Andrea Saletti in un intervento sul suo blog.
Testando alcune delle espressioni più utilizzate tra copywriter e venditori, Gallucci ha scoperto che molte parole che crediamo dotate di poteri magici in verità annoiano, mentre le risorse linguistiche più interessanti sono spesso trascurate.
Quali sono le parole coinvolgenti?
Secondo la ricerca, il livello più elevato di coinvolgimento è stato registrato dalle parole rivolte al futuro, come sfida, cambiamento, movimento, evoluzione. Di sicuro successo risulterebbero anche sperimentazione e curiosità.
Nonostante l’assunto che l’Italia sia un paese conservatore e attaccato alla famiglia, parrebbe quindi che molti italiani siano dinamici e che guardino avanti. Puntate sul cambiamento e le novità e avrete successo, sembrano dirci gli strumenti.
Attenzione però alla semiotica: riscuote un grande successo anche l’antitesi del cambiamento, ossia la parola continuità, per cui aspettate a farcire i vostri post di sfide e futuri stile Star Trek.
Del resto, cambiare è sicuramente emozionante ma anche stressante, per cui è bene riflettere sempre sul contesto e sui destinatari della comunicazione prima di abbandonarsi alla formuletta magica di turno.
Quali sono le parole da evitare?
Eye-tracker ed elettroencefalogramma hanno dimostrato il fallimento in termini di coinvolgimento emozionale della parola: qualità, che ormai genera una sensazione di noia e distacco e che tuttavia continua a essere l’espressione numero uno per pubblicitari e venditori, e l’abusatissima: valore della tradizione.
Troviamo poi un gruppo di parole sempre legate al cambiamento, ma che invece che curiosità generano noia. Sono: nuovo, rompere gli schemi e cambio di marcia.
Quest’ultimo dato dovrebbe far riflettere: non basta lavorare sul futuro, ma bisogna anche farlo evitando di utilizzare parole troppo sfruttate. Dopotutto, da quando siamo nati non c’è prodotto che non sia nuovo, non c’è politico che non prometta cambi di marcia, non c’è design che non cerchi di rompere gli schemi.
Altre parole testate hanno invece una connotazione negativa in sé, per cui non desta sorpresa che gli strumenti registrino a bassa efficacia: conservazione, invecchiamento, staticità.
Sorprendente invece l’avversione per un gruppo di parole legate alle relazioni sociali: apertura, rapporti interpersonali, ascolto, interconnessione.
Le altre parole che andrebbero evitate, sempre secondo la ricerca, sono leggerezza (troppi prodotti alimentari la promettono insieme alla bontà da oltre mezzo secolo), positività, stimolo, confusione e genialità.
Una curiosità: la parola: “qualità” viene segnalata nell’elenco delle espressioni banali già nel 1964 (segnalato da Giancarlo Buzzi nel libro: “La tigre domestica”, 2011).
E le parole emozionalmente neutre?
Infine, abbiamo un gruppo che si potrebbe definire delle espressioni e parole abitudinarie, che non creano né una grande repulsione né una grande attrazione. Troviamo in questo gruppo: solidità, fluidità, cultura, storia, costumi.
Sono forse un sintomo che da un po’ di tempo si scrive troppo di turismo parlando di luoghi pieni di storia e tradizioni; suona grigio, secondo la ricerca, anche la parola: divertimento. A questo vanno aggiunte: salto, diversità di culture, valore ed effimero.
Se ci fermiamo a riflettere, queste parole non sono solamente troppo usate, ma nella loro genericità non veicolano nessuna reale informazione a chi le ascolta. Viene spontaneo chiedersi: Quale cultura? Quale storia? Quale valore?
Parole coinvolgenti e teoria del proiettile magico
Un tema sottostante a queste ricerche di neuromarketing sulle parole è l’esistenza di aggettivi ed espressioni che abbiano una forza evocativa di per sé, indipendentemente dal contesto e dal target a cui sono indirizzate.
Sempre collegata a questa tematica è la teoria del proiettile magico: riuscire cioè a trovare un’idea o espressione in grado di coinvolgere il pubblico facendo leva sul puro potere persuasivo e retorico del messaggio.
La ricerca di Gallucci sembra però smentire questi assunti. Infatti, parole considerate magiche come “nuovo” e “qualità” non rientrano tra quelle coinvolgenti.
Sarebbe interessante disporre di ricerche storiche, verificare cioè se esiste realmente un nucleo di parole che conservano il loro supposto potere magico nel corso del tempo e dimostrare così il loro possibile collegamento con meccanismi innati.
Purtroppo, attualmente questa indagine non è possibile per via della giovane età delle metodologie di neuromarketing.
Come scegliere delle parole realmente ad effetto per un post o un annuncio?
Una semplice regola che possiamo dedurre da queste riflessioni è, quando scriviamo, di cercare di essere originali e di non dare per scontato l’implicazione o il supposto potere evocativo di una parola o espressione.
Da anni, tutti gli slogan pubblicitari promettono prodotti nuovi, di qualità e che rispettano la tradizione: sarebbe forse ora di fare uno sforzo di creatività e cambiare strategia.
Non dimentichiamoci poi che il contesto in cui una parola viene inserita ha anche esso un grande peso nell’impatto emozionale della parola stessa.
Del resto, il vero merito della ricerca di Gallucci più che fornirci una lista di parole obbligatorie da usare sempre e comunque è proprio quello di portarci a riflettere.
Un’idea potrebbe essere declinare il concetto di qualità in attributi o funzionalità del prodotto che realmente colpiscano un bisogno del consumatore o del lettore. Dopotutto, per un appassionato di cucina dire: pasta 100% di grano duro a lunga tenuta di cottura veicola molto più significato che un banale: pasta di qualità.
Una buona copy riesce a fare questa operazione in maniera creativa, sorprendente e inaspettata: un esempio che mi è piaciuto molto che ho visto di recente è un barattolo di yogurt in cui sono elencati i nomi delle mucche che producono il latte.
Si crea in questo modo un senso di empatia e vicinanza coi simpatici animali che mi ha coinvolto molto di più della sola tracciabilità.
E se abbiamo esaurito le idee creative? Pensiamo a cosa cercano i nostri utenti e a i loro bisogni, oppure all’esperienza che costruiscono con il prodotto o il servizio, come la semplice ma efficace: “Uhu, l’attaccatutto che non fa i fili e non ti sporca”.
La vecchia regola: Non cercare clienti per il tuo prodotto, cerca dei prodotti per i tuoi clienti (Seth Godin) resta sempre valida, anche per scegliere le parole di uno slogan o di un post. E purtroppo i lettori e i consumatori di oggi vogliono essere raccontati in nuove storie, dimostrando un gusto per il cambiamento e l’innovazione a cui non è sempre facile correre dietro.
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Pwer approfondire:
Andrea Saletti, neuroscienze applicate ai tuoi post social