Il successo di un film o di una serie televisiva potrebbe essere collegato al numero di colpi di scena presenti nella trama. Almeno, queste le conclusioni di una ricerca condotta con strumenti informatici e quantitativi (si chiama: linguistica computazionale) su oltre 30.000 opere dallo scrittore e professore Samsun Knight assieme alle università di Toronto e Northeastern University.
Per colpo di scena qui si intende, sostanzialmente, il capovolgimento delle sorti del personaggio, che passa dalla fortuna alla sfortuna in tempo rapidissimo o viceversa. Le serie e i film che abbondano di questo espediente narrativo sono moltissimi, tra quelli analizzati nella ricerca ricordiamo le serie Prison Break e Lost, la commedia 10 cose che odio di te e il film I soliti sospetti.
L’aspetto più interessante della ricerca, tuttavia, è la metodologia, che fa utilizzo dell’informatica per condurre poderosi studi di tipo quantitativo statistico e che prefigura ciò che potrebbe avvenire applicando in questo campo l’intelligenza artificiale.
Neuroscienza del colpo di scena
La ricerca di Knight ci spiega cosa accade, ma non perché. Qual è il motivo per cui i colpi di scena ci piacciono così tanto? Forse qualche suggerimento ce lo possono dare le neuroscienze cognitive.
Sembra che il nostro cervello sia in qualche modo predisposto a notare ed essere particolarmente sensibile alle novità, e in particolar modo alle variazioni improvvise e inaspettate a qualcosa di abitudinario a cui si è abituato.
Vi sarebbero ragioni evolutive dietro questa attitudine: la necessità di notare in tempo un predatore (elemento inaspettato) che si nasconde nel verde del bosco (elemento routinario) e di riallocare rapidamente le risorse metaboliche necessarie per fronteggiare la nuova, possibile minaccia.
Il ruolo dei bias
Secondo la neuroscienziata Vera Tobin, invece, giocherebbe un ruolo importante nel colpo di scena il bias denominato: Maledizione della conoscenza, credere cioè che gli altri hanno lo stesso livello di conoscenza dell’argomento (pensate al classico esempio del professore che non sa mettersi nei panni dell’allievo).
L’abilità degli scrittori sarebbe proprio quella di sapere sfruttare questo bias per creare colpi di scena che siano sì capaci di sorprenderci, ma che siano anche credibili nel contesto della narrazione, a pena di sembrare forzati o irritanti.
Il cervello ama prevedere
Altra caratteristica che viene sfruttata da scrittori e sceneggiatori è la tendenza del cervello a prevedere cosa avverrà immediatamente dopo un evento. Se l’aspettativa del cervello viene delusa, ciò provoca sorpresa, risveglio improvviso dell’attenzione e, in sintesi, attivazione.
Questa tendenza viene spesso sfruttata in arti come la musica, ma anche la pubblicità, ad esempio negli ippocampo headlines, particolari giochi di parole che sorprendono e svegliano il lettore, e soprattutto fanno memorizzare il brand o il nome del prodotto.
La conclusione è dunque andare di colpi di scena a manetta? Non esattamente. Come le ricerche della Tobin suggeriscono, bisogna saperlo fare, a pena di inserire svolte forzose, innaturali o irritanti che avrebbero l’effetto opposto a quello sperato. Le neuroscienze ci spiegano alcuni aspetti dello storytelling, ma di per sé non ci trasformano in artisti.
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