La pubblicità emozionale è diventato il nuovo mantra della comunicazione, vuoi per il ruolo fondamentale svolto dalle emozioni nella memorizzazione del brand, vuoi perché è sempre più difficile catturare l’attenzione dei consumatori in un mondo dove ci sono troppi contenuti.
Eppure, nonostante le loro indubbie possibilità, le emozioni in pubblicità non sono certo semplici da utilizzare. I 3 esempi di pubblicità emozionale che non hanno funzionato che indico in questo post ne sono chiara prova.
Riflettere sui fallimenti può aiutare tuttavia a prevenire gli errori, mentre il neuromarketing ci offre degli strumenti molto potenti per evitare di cadere in alcune trappole.
Le pubblicità shock di Benetton
Chi non ricorda le pubblicità shock di Olivero Toscani per promuovere il marchio Benetton?
Bene, dopo ben 20 anni di coloratissime campagne che ammiccavano a tematiche sociali o comunque a forte impatto visivo ed emotivo, l’azienda ha ammesso che le creatività di Oliviero Toscani non funzionavano molto in fatto di vendite.
Infatti, nonostante il loro essere all’avanguardia e la loro forza in termini di memorizzazione, le immagini non valorizzavano i prodotti.
Questo errore è più comune di quanto si pensi; ricordiamoci che lo scopo del committente di spot è attirare l’attenzione su di sé e quello che fa, non regalare una storia commuovente.
Le pubblicità progresso contro il fumo
Altro esempio celebre di pubblicità emozionale che non funziona è quella contro il fumo, che sembrerebbe addirittura aumentare la voglia di sigarette in chi la guarda, secondo un celebre esperimento di neuromarketing di Martin Lindstrom.
Il problema con la pubblicità progresso è che troppo spesso insiste sulle cattive conseguenze delle nostre azioni cattive, mostrandoci immagini terrificanti di persone sul letto dell’obitorio o dissezioni anatomiche di polmoni bucherellati come le città della Seconda guerra mondiale.
Purtroppo, esiste un meccanismo per cui il nostro cervello si difende dalle emozioni quando queste superano una certa soglia.
Quando il materiale diventa troppo inquietante preferiamo non sapere e non vedere, basta vedere il comportamento di alcuni spettatori al cinema che si coprono istintivamente gli occhi nelle scene più forti.
La lezione da imparare? Emozionare sì, ma sempre restando entro limiti accettabili e comunque offrendo una soluzione positiva alle paure ed emozioni negative.
Ricordiamoci che lo spot pubblicitario dovrebbe essere una commedia a lieto fine, non una tragedia greca.
L’epic fail di Pandora del 2017
Curare dove cade l’attenzione e l’intensità emozionale del messaggio non è però sufficiente a evitare disastri comunicativi. Ne sa qualcosa Pandora, che nel 2017 uscì con una campagna che doveva suonare garbata e ironica e che invece risultò per molte persone offensiva e antifemminista.
E in effetti, l’umorismo non è certamente una dote comune a tutti. Bisogna dunque riflettere anche su che tipo di emozione vogliamo far leva o provocare, e restano sempre valide le problematiche dell’ambiguità implicita in ogni messaggio o forma di comunicazione umana.
Come il neuromarketing può aiutare a evitare errori con la pubblicità emozionale
Spot e creatività andrebbero in effetti testati prima dell’uso, come un qualsiasi prodotto o strumento, per comprendere quali siano i loro reali effetti o benefici sul target prescelto.
Il neuromarketing si è rivelato, sotto questo profilo, uno strumento di sicuro interesse, non solo per valutare dove cade l’attenzione (tramite l’eye-tracking) ma anche per comprendere l’intensità della risposta emozionale e la sua valenza (se positivo o negativo).
Un esempio famoso ci viene proprio dall’Italia e riguarda la campagna Unicef sui lasciti testamentari.
Grazie a una serie di test di neuromarketing condotti dal professor Vincenzo Russo e dalla sua equipe presso l’università IULM di Milano, è stato infatti possibile correggerne gli errori e riallinearla sugli obiettivi dell’organizzazione.
In conclusione, applicando il neuromarketing alla pubblicità si riesce a evitare gli errori più comuni e a ottimizzare le campagne in modo da almeno eliminare gli epic fail più pericolosi, con la possibilità di ottenere una comunicazione non solo in linea con le esigenze delle aziende, ma anche del pubblico.
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