Teoria e prassi dell’arco narrativo

Il termine arco narrativo, che traduce l’inglese: story-arc, è un termine relativamente recente, anche se il concetto che ne sta alla base risale addirittura ad Aristotele. Descrive semplicemente la linea narrativa che tiene in piedi la trama di una storia, risolvendo i tre classici problemi di come farla iniziare, sviluppare e finire.

Ricordiamo che l’arco narrativo viene utilizzato in tutto lo storytelling e quindi anche per conferenze, presentazioni e pubblicità, non è cioè più un concetto relegabile semplicemente alla narrativa.

L’arco narrativo secondo Gustav Freytag

Il primo studioso moderno di narratologia ad esserne occupato in modo scientifico è lo scrittore e drammaturgo Gustav Freytag, che sostenne l’idea che ogni buona storia si articolasse su uno schema diviso in 5 parti (piramide di Freytag) con un crescendo che culmina nella parte centrale per poi risolversi nel finale.

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L’arco narrativo di Freitag

Secondo Freytag, ogni storia inizia con l’introduzione, che ha il compito di chiarire chi sono i protagonisti, dove si trovano e in che tempo (esempio: il “In una lontana galassia, tanto tempo fa” di Guerre Stellari).

Un evento o incidente scatenante (azione ascendente) fa quindi partire una fase di azione crescente, o inasprimento del conflitto, in cui il pubblico capisce di cosa parla la storia (sempre in Guerre stellari, la caccia alla nave della principessa Leyla e la sua cattura).

Si arriva al punto culminante di tensione in cui il protagonista deve affrontare la verità o prendere una decisione importante.

Nell’azione discendente, vediamo le conseguenze della decisione del protagonista per arrivare alla risoluzione e conclusione della storia. Ogni fase ha un ruolo specifico nel condurre il lettore attraverso un viaggio emozionale e nel trasformare i personaggi e il loro mondo.

L’arco narrativo non va confuso con la trama e l’intreccio. L’intreccio è la successione dei singoli eventi che compongono la storia così come raccontata dall’autore e la trama la loro sintesi; invece, l’arco narrativo è il filo che tiene unita la trama e crea un crescendo drammatico seguito da risoluzione che coinvolge emozionalmente lo spettatore. Diverso ancora l’arco del personaggio, che descrive il processo di trasformazione e dramma interiore che lo accompagna per tutta la narrazione.

Lo schema in tre atti di Aristotele

Lo schema di Freytag ricorda il classico schema in tre atti di Aristotele esposto nella sua opera: “Poetica” e così articolato:

Atto Primo (Esposizione): Introduzione dei personaggi, del luogo e del contesto. Presentazione del conflitto iniziale o della situazione di partenza. Stabilisce il tono e imposta le fondamenta per la storia.

Atto Secondo (Svolgimento o Sviluppo): Crescita della tensione e del conflitto. Introduzione di nuovi elementi, complicazioni o ostacoli. Personaggi affrontano sfide, rivelazioni o crisi. La trama si sviluppa attraverso una serie di eventi che portano a un punto di massima tensione.

Atto Terzo (Risoluzione o Catastrofe): Risoluzione del conflitto principale. Svelamento di eventuali misteri o nodi della trama. Conclusione delle storie personali dei personaggi. Chiusura della narrazione e risposta alle domande poste precedentemente.

Lo schema aristotelico offre una struttura chiara e ben bilanciata alla narrazione, fornendo inizio, sviluppo e conclusione. Molti racconti seguono questa struttura o vi si ispirano, poiché offre una coerenza narrativa che coinvolge il pubblico attraverso la presentazione del conflitto, la sua escalation e la sua risoluzione.

Le principali differenze rispetto allo schema a piramide di Freytag stanno nella presenza di un punto culminante in quest’ultimo (Aristotele non parla di un climax o culminazione, almeno non apertamente) e di due fattori scatenanti (uno crescente al secondo atto, l’altro decrescente al quarto atto) che fanno salire e poi scendere la tensione.

Per Aristotele, invece, gli eventi cruciali della trama sono collegati ai concetti di “Peripeteia”, ossia un rovesciamento improvviso della situazione, spesso collegato a una svolta inaspettata che cambia il corso degli eventi, e di’”anagnorisis” è il momento di rivelazione o scoperta, in cui un personaggio comprende una verità fondamentale o fa una scoperta cruciale.

Lo schema di Aristotele è considerato più flessibile e più semplice da utilizzare rispetto a quello di Freytag.

Modelli alternativi di arco narrativo

Dopo gli studi di Freytag, si è assistito a un proliferare di ricerche e proposte di modelli di arco narrativo tra loro assai diversi. Non si può non accennare al viaggio dell’eroe, un modello sviluppato dallo scrittore Christopher Vogler che ha avuto e ancora ha grande successo e che rappresenta il viaggio dell’io del personaggio principale verso l’autorealizzazione affrontando un nemico e una grande prova.

Un modello di arco narrativo assai diffuso, propugnato nei mille blog che offrono consigli di scrittura creativa e ripreso addirittura dal MISO (Military Information Support Operations) statunitense per il suo elevato potere di coinvolgimento e tutto sommato simile a quello di Freytag, resta quello che parte da una situazione iniziale di equilibrio (omeostasi) che viene turbata da un agente esterno (rottura) e che costringe i personaggi a reagire elaborando una nuova strategia adattiva e a trovare un nuovo equilibrio.

Il cambiamento crea una crisi interna dei personaggi, un’azione e poi una reazione e così nasce l’intreccio, e quando finisce il cambiamento cessa anche la storia. Se l’evento scatenante arriva alla chiusura abbiamo il finale sospeso di molte serie televisive.

Lo scrittore Christopher Booker sostiene, invece, che esistono solo sette archetipi di trame ricorrenti:

•             Battere il mostro (la tipica fiaba);

•             Dalle stelle alle stalle (la caduta sociale, la disgrazia);

•             La ricerca;

•             Il viaggio (L’Iliade);

•             Il ritorno (l’Odissea);

•             La rinascita dopo la caduta e il fallimento;

•             La commedia;

•             La tragedia.

Uno studio quantitativo svolto con metodi computazionali dai narratologi Jodie Archer e Matthew Jockers su oltre 20000 romanzi sembrerebbe confermare questa teoria.

Ma non mancano le ricerche che mostrano risultati diversi: secondo un’analisi fatta su 112000 trame da David Robinson emergerebbe una struttura ricorrente universale molto più semplice per cui le cose van sempre peggio finché all’ultimo minuto non migliorano, mentre per il narratologo Will Storr una trama coinvolgente è semplicemente quella che continuamente pone l’interrogativo drammatico.

Questi non è che il dramma intimo del personaggio, legato a un trauma passato che viene nascosto ma che in qualche modo si intuisce e tiene sveglia la curiosità del lettore con continue domande sul perché e percome un dato personaggio è o agisce in quel modo (ad esempio, quale sofferenza passata rende cattivo il cattivo di turno).

Questi studi mettono in discussione le teorie che valorizzano la divisione in tre o cinque atti, tutt’oggi particolarmente seguite, ma di cui già alcuni critici e pratici avevano intuito i limiti.

Il problema delle teorie basate sulla divisione in tre o cinque atti resta, alla fine, sempre quello di non riuscire a fornire un modello universale: descrivono in modo efficace alcune narrazioni ma non tutte, in particolare escludono quelle dell’era digitale, dove le brevi storie di Facebook, Instagram e TikTok si risolvono generalmente in trame velocissime e lineari con svolta finale inaspettata, nient’altro che il meccanismo tipico della battuta di spirito.

Il modello a onde teorizzato dallo scrittore Kurt Vonnegut nel secondo dopoguerra e poi approfondito dagli studi dello psicologo J. Brown potrebbe essere una risposta alla crisi delle teorie classiche dell’arco narrativo.

In questo modello, l’articolazione in atti cade completamente per essere sostituito da trame che si svolgono liberamente, senza necessariamente seguire una trama articolata in inizio, culmine e risoluzione, ma che seguono la successione di momenti con emozioni positive (gioia, successo, realizzazione) a momenti con emozioni negative (rabbia, frustrazione), creando per l’appunto l’effetto di un onda.

Un vantaggio di questo modello è quello di lasciare molta libertà agli scrittori e di esaltare la psicologia dei personaggi.

Neuroscienze, intelligenza artificiale e arco narrativo

Negli ultimi anni si è assistito a un crescente interesse verso l’arco narrativo anche da parte dei neuroscienziati e a un crescente utilizzo di strumenti quantitativi e informatici per studiare le narrazioni e individuarne le strutture più profonde.

La teoria della chiusura concettuale, ad esempio, sembra riproporre l’importanza dell’articolazione delle storie in blocchi precisi per una migliore memorizzazione e una maggiore fluidità delle stesse. Per comprendere l’importanza di questi studi, bisogna ribadire che nel moderno storytelling le narrazioni vengono spesso utilizzate anche per tenere presentazioni, conferenze e via di seguito, non solamente per divertire.

Una ricerca del 2023 ha dimostrato l’esistenza dell’arco narrativo, dando prova che il coinvolgimento raccontato dal campione testato segue in effetti quanto rilevato dagli strumenti neuroscientifici, mentre sono ormai storici e ben conosciuti gli studi del neuroscienziato Paul Zak sul potere delle storie di cambiare gli atteggiamenti individuali e stimolare la cooperazione agendo su dei meccanismi neurali collegati al rilascio dell’ossitocina, un ormone che favorisce l’ottimismo, l’amore e la cooperazione.

Infine, ricordiamo gli studi di Young e Kastenholtz sull’andamento dell’impatto emotivo negli spot pubblicitari ad alto successo in termine di coinvolgimento emozionale ed efficacia, strettamente collegati alle tematiche dell’arco narrativo.

Ma l’intelligenza artificiale può fare ancora di più: un progetto del MIT di Boston l’ha utilizzata recentemente per studiare l’arco narrativo, ossia come varia il coinvolgimento del pubblico per ogni singola scena di un video. Lo scopo dichiarato di questi studi è ottimizzare le storie, in particolare quelle a contenuto pubblicitario e promozionale, al fine di renderle il più persuasive ed efficaci possibile.

Questo però apre la porta al rischio di un uso sempre più manipolatorio e distorto delle narrazioni, e dello stesso arco narrativo, piegandole alle esigenze oscure della propaganda e della persuasione manipolativa più spinta.

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Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

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