Le parole come inneschi emotivi

Le parole, si dice, sono magiche. Basta guardare alla nostra esperienza quotidiana per scoprire che potente effetto di innesco emotivo (“trigger”, nella terminoligia usata dagli psicologi) possano avere. Una sola parola sbagliata ha il potere di farci andare su tutte le furie, e quella giusta di calmarci.

Questo accade perché il linguaggio umano è un potente strumento di comunicazione che va ben oltre la semplice trasmissione di informazioni.  Ogni parola che pronunciamo ha il potere di influenzare gli altri e scatenare reazioni profonde nel nostro interlocutore, modellando la nostra percezione del mondo e delle esperienze che viviamo.

Per questo motivo gli uomini si occupano della scienze delle parole praticamente da sempre, fin dalla retorica classica alla Programmazione Neuro Linguistica di oggi. Infine, alla lista si sono aggiunte anche le neuroscienze a cercare di scoprirne il misterioso segreto.

In questa guida, troverai una spiegazione dettagliata di ciò che è stato scoperto sulla forza emotigena delle parole in ambito psicologico e neuroscientifico. Potrai utilizzare quello che dirò per migliorare la tua comunicazione, o semplicemente diventare più consapevole delle tue reazioni emotive e di come il linguaggio le plasma.

La forza del linguaggio nel plasmare le emozioni nostre e degli altri

Da dove deriva il potere delle parole? Secondo la scienza cognitiva, fin dalla nascita, siamo esposti a una vasta gamma di parole che vengono pronunciate dai nostri genitori, insegnanti, amici e dai media. Queste parole vengono associate alle esperienze che viviamo, alle emozioni che proviamo e agli eventi che accadono intorno a noi.

Nel corso del tempo, sviluppiamo un repertorio di parole che diventano simboli delle nostre emozioni, creando un legame indissolubile tra il linguaggio, il nostro mondo interiore, gli altri e la comunità in cui siamo inseriti.

Senza questa connessione profonda tra parole, la nostra esperienza e quella degli altri non sarebbe del resto possibile capirsi e vivere in una società. È grazie ad essa che le parole e i concetti che abbiamo in comune con le altre persone della nostra comunità di riferimento scatenano reazioni simili e ci permettono non solo di rappresentarci la nostra esperienza di vita, ma anche di capire quella degli altri.

Ciò spiega anche il perché le parole degli altri ci influenzano così tanto: è come se condividessimo con loro, attraverso il linguaggio, la stessa mente e gli stessi pensieri, gli stessi modelli di ragionamento e di azione; si potrebbe dire, ricorrendo a una metafora un po’ ardita, lo stesso sistema operativo.

La connessione tra parole ed emozioni, tuttavia, è profondamente radicata non solo nella nostra psicologia, ma anche nel nostro corpo, con precisi effetti sui nostri muscoli, sullo scheletro, sulla fisiologia, sugli ormoni.

Ad esempio, uno studio condotto da Matthew Lieberman dell’Università della California ha dimostrato che l’espressione verbale delle emozioni negative riduce l’attività dell’amigdala, una regione del cervello coinvolta nella risposta emotiva.

Altri studi hanno dimostrato che l’esposizione continuata alle parole negative stimolano il rilascio di cortisolo, l’ormone dello stress.

Parole attivanti e disattivanti

Le parole possono agire come stimoli che attivano la nostra risposta di combattimento o fuga, conosciuta anche come risposta di stress. Se, ad esempio, qualcuno ci fa arrabbiare o ci fa sentire minacciati attraverso le parole, il nostro corpo può reagire aumentando la frequenza cardiaca, aumentando la pressione sanguigna e provocando una sensazione di tensione muscolare. Questo può portare a reazioni somatiche come il pugno chiuso, i muscoli contratti o la sensazione di irrigidimento.

D’altra parte, le parole possono anche avere un effetto calmante e rilassante sul nostro corpo. Se ascoltiamo parole gentili, incoraggianti o rassicuranti, possiamo sperimentare una riduzione dello stress e una sensazione di benessere. In questo caso, il nostro corpo può rispondere rilassando i muscoli, riducendo la frequenza cardiaca e favorendo una respirazione più profonda e regolare.

Questi differenti effetti sono legati alla natura stessa delle emozioni. Alcune emozioni sono attivanti, spingono cioè all’azione, come la rabbia; altre, al contrario, sono depotenzianti o deattivanti, generano rilassamento, rinuncia all’azione, calma o depressione.

Quali sono le parole attivanti?

Quando ascoltiamo o leggiamo parole come “azione”, “sfida”, “raggiungi”, “realizza”, il nostro cervello viene stimolato a entrare in modalità di attivazione. Queste parole risvegliano la nostra motivazione interna e ci spingono a metterci in movimento, a superare gli ostacoli e a perseguire i nostri obiettivi.

Le parole attivanti possono essere particolarmente efficaci quando si tratta di superare la pigrizia, il procrastinare o l’inerzia. Spesso, ci troviamo a rimandare le azioni che ci porterebbero benefici a lungo termine, come l’inizio di un programma di allenamento o lo studio per un esame importante.

Ma quando utilizziamo parole attivanti come “inizia oggi”, “prendi l’iniziativa” o “vai avanti”, riusciamo ad accendere quella scintilla che ci spinge ad agire e ad avviare il cambiamento desiderato.

Le parole attivanti possono anche essere utilizzate nel contesto delle relazioni interpersonali. Quando incoraggiamo gli altri con parole come “tu ce la puoi fare”, “hai tutte le risorse necessarie”, li stiamo spingendo a credere in sé stessi e a raggiungere i loro obiettivi.

Questo tipo di linguaggio positivo e motivante può avere un impatto significativo sulla fiducia e sulla motivazione delle persone, incoraggiandole a perseguire i loro sogni e a superare le sfide che incontrano lungo il cammino.

Quali sono le parole disattivanti?

Alcuni esempi di parole disattivanti includono “non posso”, “non sono abbastanza”, “è impossibile”, “non ne vale la pena”. Queste parole limitanti possono creare una mentalità di autolimitazione e scoraggiamento. Quando ci diciamo ripetutamente che non possiamo fare qualcosa o che non siamo all’altezza di un determinato obiettivo, ci auto-sabotiamo e ci impediamo di sperimentare il nostro vero potenziale.

Le parole disattivanti possono anche includere giudizi negativi su noi stessi o sugli altri, come “sono stupido”, “non sei abbastanza bravo” o “non sei all’altezza”. Questo tipo di linguaggio denigratorio mina l’autostima e crea una prospettiva negativa su noi stessi e sugli altri. Le parole che utilizziamo per etichettarci o etichettare gli altri possono influenzare il modo in cui ci percepiamo e come ci relazioniamo con gli altri.

Inoltre, le parole disattivanti possono manifestarsi attraverso il linguaggio di lamentela, come “è impossibile”, “non funzionerà mai”, “sono sfortunato”. Queste parole trasmettono una mentalità di vittimismo e impotenza, rinunciando alla responsabilità del proprio destino e attribuendo tutto al destino o alle circostanze esterne.

Riconoscere e sostituire le parole disattivanti con parole potenzianti può fare una differenza significativa nella nostra vita. Le parole potenzianti, come “posso farcela”, “sono capace”, “sono resiliente”, ci aiutano a sviluppare una mentalità di crescita e fiducia in noi stessi. Queste parole ci incoraggiano a superare gli ostacoli, a perseverare e a raggiungere i nostri obiettivi.

Parole attivanti o disattivanti? Dipende dal contesto

Ora forse penserete che le parole attivanti siano il bene e quelle disattivanti sono il male. Attenzione, però, che non sempre è nero e bianco. Alcune parole deattivanti sono importanti per calmare, rilassare e perfino generare sentimenti positivi come la gioia e la felicità.

Poi, molto dipende dallo stato di attivazione e di valenza emotiva (cioè di direzione che prende l’emozione, positiva o negativa) di chi vi sta di fronte. Se dovete affrontare un vicino inferocito, ad esempio, ricorrere a ulteriore attivazione è una pessima idea.

Detto in parole povere, non sempre ricercare l’attivazione è positivo, anzi! E poi, dipende anche a cosa volete eccitare e perché. Pensate alla differenza tra eccitare alla rabbia ed eccitare a una buona azione o altro comportamento positivo.

In altre situazioni, invece, chi comanda è il contesto della comunicazione. Dire un rilassante e disattivante: “Grazie” dopo aver ricevuto qualcosa è doveroso, oltreché gentile.

Per capire meglio questo punto, provare a vedere la comunicazione come una composizione musicale: quello che conta è sapere alternare momenti di tensione- attivazione a momenti di deattivazione- rilassamento, come in una onda nel mare.

In questo modo creerete nel vostro interlocutore anche suspence, interesse, varietà ed eviterete la noia.

Esiste solo l’attivazione e la disattivazione?

Tutto dipende da cosa intendiamo per attivazione e disattivazione, ossia quale teoria piscologica o neuroscientifica sulle emozioni accettiamo.

Il modello oggi dominante è quello detto: “Arousal, Valence” (valenza, eccitazione), per cui le emozioni possono essere classificate secondo il livello di eccitazione (da zero al massimo) e la valenza (allontanamento verso lo stimolo, ossia valenza negativa, avvicinamento, ossia valenza positiva).

In sostanza, gli inneschi – e le parole innesco – possono essere di 4 tipi: negativi e attivanti (la rabbia, ad esempio); negativi e disattivanti (la depressione); positivi attivanti (la motivazione a fare qualcosa) positivi disattivanti (la soddisfazione dopo avere ottenuto qualcosa).

Naturalmente, altri modelli teorici di inneschi sono possibili, come differenti definizione di attivazione delle parole. Tutto dipende dalle definizioni che utilizziamo. Vediamo un possibile modello alternativo:

Un modello differente di attivazione e disattivazione linguistica

Oltre agli inneschi attivanti, che stimolano emozioni positive come la felicità o l’entusiasmo, e agli inneschi deattivanti, che possono provocare emozioni negative come la tristezza o la paura, possiamo trovare altri esempi di inneschi emotivi verbali:

Inneschi verbali di sfida: Questi inneschi possono suscitare emozioni di eccitazione o determinazione. Quando una persona si impegna in una sfida o un compito stimolante, l’emozione può essere generata dall’obiettivo di superare l’ostacolo o raggiungere il successo.

Inneschi verbali di sorpresa: Questi inneschi possono generare una risposta emotiva di sorpresa o meraviglia. La sorpresa può essere causata da eventi inattesi o situazioni che vanno oltre le aspettative.

Inneschi verbali di disgusto: Questi inneschi possono suscitare una forte reazione emotiva di disgusto o repulsione. Ad esempio, l’esposizione alla parola: “merda” o a una espressione disgustosa potrebbe fungere da innesco di disgusto.

Inneschi verbali di trascendenza: Questi inneschi possono evocare emozioni di meraviglia, gratitudine o ammirazione in risposta a esperienze o eventi che superano la normale comprensione o che sono collegati a valori spirituali o trascendenti. Esempi classici sono i mantra e le preghiere.

Inneschi verbali puramente cognitivi: alcune parole non generano necessariamente emozioni, ma solamente azioni. Si pensi alla domanda: quanto fa due più due. Viene spontaneo rispondere: quattro. E non credo che ciò vi abbia sconvolto più di tanto.

Le emozioni complesse

Dalle osservazioni che abbiamo appena svolto, sarà ormai chiaro che quando si parla di linguaggio, parole ed inneschi emotivi si presuppone per forza una teoria psicologica delle emozioni. Cosa ci dice la scienza su questo punto?

Oggi sia gli psicologi che i neuroscienziati sono più o meno d’accordo che la gran maggioranza delle emozioni non sono innate ma frutto dell’evoluzione culturale. Inoltre, le emozioni non sono più viste come forze basate sul cieco impulso, ma come forze molto complesse che hanno valenza anche cognitiva.

Le emozioni di ordine più complesso sono in genere la combinazione delle emozioni primarie che abbiamo in comune con gli animali (come la rabbia, la gioia, la cura, la paura). Un esempio di queste emozioni complesse è la malinconia, fusione di gioia e tristezza.

La letteratura ci dimostra l’importanza delle emozioni complesse e della capacità di saperle descrivere, gestire e utilizzare anche nella comunicazione di tutti i giorni.

Gli inneschi verbali per le emozioni complesse

Anche se la variabilità di risposta individuale a queste emozioni è altissima, esistono inneschi verbali anche per le emozioni complesse. Ad esempio:

Nostalgia: Il termine “nostalgia” è spesso associato alla malinconia. Parole o frasi come “mi manca”, “ricordo quando”, “un tempo” possono essere inneschi verbali per evocare un senso di malinconia.

Solitudine: La solitudine può essere una componente della malinconia. Frasi come “mi sento solo/a”, “nessuno mi capisce”, “mi manca la compagnia” possono innescare una risposta emotiva di malinconia.

Rimpianto: I sentimenti di rimpianto o perdita possono contribuire alla malinconia. Frasi come “avrei dovuto”, “mi dispiace di aver perso”, “ho perso l’opportunità” possono essere inneschi verbali per suscitare la malinconia.

Melanconia: La parola stessa, “melanconia”, può essere un innesco verbale per evocare un senso di malinconia. Può essere utilizzato anche per descrivere un’atmosfera o un’esperienza che suscita tristezza o una sensazione di struggimento.

Paesaggio interiore: Espressioni come “un paesaggio interiore triste”, “un’ombra nel cuore” o “una malinconia senza motivo” possono essere inneschi verbali che evocano l’esperienza della malinconia.

Usare le metafore come trigger emotivi

Secondo il pensiero di George Lakoff, le metafore svolgono un ruolo cruciale nel linguaggio, nelle decisioni e nella costruzione di senso del mondo.

Come nel caso delle parole, troviamo metafore attivanti e deattivanti. Le metafore attivanti sono quelle che evocano immagini vivide e provocano una risposta emotiva o cognitiva intensa. Queste metafore sono spesso usate per influenzare l’opinione pubblica o per creare un senso di urgenza riguardo a determinate questioni.

Ad esempio, l’espressione “la guerra al crimine” attiva l’immagine di un conflitto violento e invoca una risposta emotiva di determinazione e mobilitazione per combattere la criminalità.

D’altra parte, le metafore deattivanti sono utilizzate per ridurre o neutralizzare l’effetto emotivo o cognitivo di un concetto o di un evento. Queste metafore spesso minimizzano l’importanza o la gravità di una situazione.

L’espressione “una goccia nell’oceano” deattiva l’immagine di un evento insignificante o trascura la portata reale di un problema. Queste metafore sono spesso impiegate per attenuare le preoccupazioni o per distogliere l’attenzione da questioni complesse o problematiche.

L’uso delle metafore attivanti e deattivanti può essere un potente strumento retorico per persuadere e manipolare il pensiero delle persone. Lakoff sottolinea che l’uso consapevole e strategico di queste metafore può influenzare la nostra percezione del mondo e la nostra comprensione dei problemi sociali e politici.

Pertanto, è importante essere consapevoli delle metafore che vengono utilizzate nella comunicazione e riflettere sulla loro influenza sulla nostra prospettiva e sui nostri giudizi.

Il ruolo delle narrazioni

Un ruolo analogo lo svolgono le narrazioni. Le narrazioni attivanti sono storie che suscitano emozioni forti, coinvolgono l’immaginazione e ispirano azione e cambiamento.

Queste narrazioni spesso presentano protagonisti eroici che affrontano sfide e superano ostacoli, generando un senso di fiducia e speranza nell’uditorio. Le narrazioni attivanti possono essere utilizzate per mobilitare le persone, spingendole ad agire per una causa o a sostenere un certo punto di vista.

D’altra parte, le narrazioni deattivanti sono storie che riducono l’importanza o minimizzano la gravità di un evento o di una situazione. Queste narrazioni spesso adottano un tono neutrale o distante, cercando di sminuire l’impatto emotivo o cognitivo di ciò che viene raccontato.

Le narrazioni deattivanti possono essere utilizzate per mitigare preoccupazioni o per nascondere informazioni scomode o indesiderate. Queste storie possono anche cercare di disinnescare conflitti o di mantenere lo status quo, evitando di generare tensione o cambiamento.

Ricordiamo che possono benissimo esistere metafore e narrazioni senza un particolare potere attivante o deattivante. Questo tipo di linguaggio viene in genere utilizzato per spiegare principi o conoscenze tecnico-scientifiche.

Del resto, la scienza e la tecnica devono essere neutre, non influenzare più di tanto le persone a livello emotivo. Forse per questo in ambito scientifico si preferisce utilizzare i simboli e i segni della matematica.

L’importanza dell’auto narrazione interna

Il modo in cui utilizziamo le parole può influenzare non solo gli altri, ma anche noi stessi. La nostra autonarrazione interna, cioè il dialogo che abbiamo con noi stessi nella nostra mente, ha un impatto significativo sulle nostre emozioni.

Se usiamo parole negative o critiche per descrivere noi stessi o le nostre esperienze, alimentiamo un ciclo di pensieri negativi che può generare emozioni come la tristezza, l’ansia o la rabbia. D’altra parte, se scegliamo di utilizzare parole positive e incoraggianti, possiamo generare un senso di fiducia, autostima e gratitudine.

Secondo lo psicologo Jerome Bruner, l’auto-narrazione interna svolge un ruolo chiave nel modellare la nostra identità. Le parole che scegliamo per descriverci creano un senso di continuità e coerenza nella nostra percezione di noi stessi nel tempo.

L’auto-narrazione può anche influenzare la nostra visione del mondo, le nostre credenze e i nostri valori. Le storie che ci raccontiamo sulla nostra vita e sulle nostre esperienze contribuiscono a formare la nostra identità e a dare significato alla nostra esistenza.

Le parole come innesco emotivo collettivo

Le parole possono anche agire come inneschi emotivi collettivi, influenzando intere comunità e società. Le dichiarazioni politiche, i discorsi pubblici e i messaggi mediatici hanno il potere di mobilitare le masse, suscitando sentimenti di solidarietà, indignazione o speranza. Le parole usate dai leader politici e religiosi possono plasmare le opinioni e le credenze delle persone, generando cambiamenti sociali o suscitando conflitti.

Un esempio di come le parole possano scatenare un innesco emotivo collettivo è il discorso di Martin Luther King Jr. durante la marcia su Washington del 1963. Le sue parole “I have a dream” (“Ho un sogno”) hanno ispirato milioni di persone e hanno alimentato un movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. Il suo linguaggio emotivo e coinvolgente ha suscitato una profonda connessione emotiva nelle persone, trasmettendo un messaggio di uguaglianza e speranza che ha risonato in tutto il paese.

Le parole cariche di rabbia e odio amplificano invece la polarizzazione politica e sociale, creando un clima di sfiducia e avversione reciproca tra le fazioni, minando la fiducia nelle istituzioni democratiche e alimentando un clima di confronto e scontro permanente. Stesso effetto hanno i discorsi che incoraggiano la violenza o diffondono teorie cospiratorie. Le campagne elettorali degli ultimi anni sono purtroppo un triste esempio di questo tipo di comunicazione.

Questa tendenza sembra radicata in una propensione della nostra mente a organizzare il mondo in categorie polarizzanti e contrapposte, stile luce, ombra, male, bene, alto basso e via di seguito.

I fattori che modificano il potere di trigger emotivo delle parole

Ricordiamo al lettore che il potere di innesco emotivo delle parole può essere modificato, limitato o escluso da diversi fattori che influenzano la comunicazione e l’interpretazione delle parole. Non è cioè magia.

Alcuni di questi fattori includono:

Contesto e intenzione: Il contesto in cui vengono pronunciate le parole e l’intenzione dell’oratore possono influenzare la loro percezione emotiva. Ad esempio, le stesse parole possono avere significati diversi a seconda del tono di voce, dell’espressione facciale e del contesto in cui vengono utilizzate. L’intenzione dell’oratore, se è genuina o manipolativa, può anche influire sull’effetto emotivo delle parole.

Esperienze individuali e background culturale: Le esperienze passate e il background culturale di un individuo possono influenzare la sua interpretazione e reazione emotiva alle parole. Ciò significa che le parole che possono essere emotivamente cariche per una persona potrebbero non avere lo stesso impatto su un’altra, a causa delle loro esperienze e del loro contesto culturale unico.

Empatia e comprensione: La capacità di mettersi nei panni di qualcun altro e di comprendere le sue emozioni può influenzare la reazione emotiva alle parole. Se una persona è in grado di comprendere e connettersi con il significato emotivo di determinate parole, potrebbe essere più suscettibile all’innesco emotivo che queste parole generano.

Sovraccarico di informazioni: In un contesto in cui siamo costantemente esposti a un’enorme quantità di informazioni e parole, le parole possono perdere il loro impatto emotivo a causa del sovraccarico cognitivo. Quando siamo bombardati da un’eccessiva quantità di parole emotive, la loro capacità di innescare una risposta emotiva potrebbe diminuire.

Controllo emotivo: La capacità di gestire e regolare le proprie emozioni può influenzare l’effetto emotivo delle parole. Se una persona ha un buon controllo emotivo, potrebbe essere in grado di filtrare le parole emotive negative o di ridurre il loro impatto sulle proprie emozioni.

Credibilità e fiducia: La credibilità dell’oratore e la fiducia che l’ascoltatore ripone nelle parole possono influire sull’effetto emotivo delle parole. Se l’ascoltatore non percepisce l’oratore come credibile o non ha fiducia nelle sue intenzioni, le parole potrebbero avere un impatto emotivo limitato o addirittura essere ignorate.

Conclusioni

È importante prendere consapevolezza del potere delle parole e delle emozioni che possono scatenare. Dobbiamo essere responsabili delle parole che usiamo, sia nell’interazione con gli altri che nel dialogo interno. Una comunicazione empatica, rispettosa e compassionevole può creare connessioni più profonde e generare emozioni positive. D’altra parte, un uso inappropriato o offensivo delle parole può danneggiare le relazioni e alimentare un clima emotivo negativo.

In conclusione, le parole sono strumenti potenti che hanno la capacità di innescare emozioni intense. Il linguaggio umano va oltre la mera trasmissione di informazioni ed è un mezzo attraverso il quale creiamo connessioni, condividiamo emozioni e costruiamo significato.

Dobbiamo essere consapevoli del modo in cui usiamo le parole e del loro impatto sulle nostre emozioni e sulle emozioni degli altri. Attraverso un uso consapevole e responsabile del linguaggio, possiamo promuovere emozioni positive, costruire relazioni solide e creare un mondo in cui le parole siano inneschi di amore, comprensione e crescita, in poche parole, gestire le nostre emozioni.

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Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

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