Metaverso, criminalità e neuroscienze

Il gennaio 2024 potrebbe passare alla storia come il mese in cui è stato commesso il primo stupro virtuale di gruppo, almeno, così a stare a quanto scritto sul quotidiano britannico The Guardian.

L’abuso sarebbe stato consumato a danno dell’avatar della vittima, una ragazza minorenne, da un gruppo di avatar di sembianze maschili durante un gioco immersivo. Per la polizia e le autorità del Regno Unito, la virtualità dello stupro non esclude assolutamente la consumazione del reato, in quanto la sofferenza psichica subita è analoga a quella reale; per la difesa, al contrario, il contatto fisico sarebbe invece un elemento essenziale.

Non è certo la prima fattispecie di reato consumato virtualmente. La tematica dei reati nel cyberspazio è antica, risalendo addirittura a un articolo del giornalista Julian Dibbel del 1993 dove vennero sollevate le due tematiche di fondo dei crimini virtuali, ossia la differenza tra mondo reale e virtuale, e i traumi emotivi causati dalle esperienze virtuali.

Negli anni successivi, le ricerche di neuroscienze e psicologia cognitiva hanno aggiunto ulteriori spunti di riflessione, configurandosi come un valido strumento per inquadrare questo tipo di problematiche.

Metaverso, gioco e cinema: le differenze

A un’analisi superficiale, l’esperienza del metaverso dovrebbe essere come quella che abbiamo al cinema o in un videogioco. Anche quando ci immedesimiamo con la vittima nelle scene di violenza più selvagge, siamo pur sempre in qualche modo consapevoli che è “soltanto” un film; ciò spiega il motivo per cui nessuno ha mai denunciato il maturo Marlon Brando per violenza sessuale consumata sulla giovane Maria Schneider in Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci.

La ricerca neuroscientifica ha invece messo in luce che un’esperienza nel metaverso coinvolge e influenza l’intero organismo, non soltanto la nostra immaginazione, con la potenzialità reale di trasformare questa esperienza in qualcosa non dissimile dalla realtà.

La parola chiave è: “realismo”: più la virtualità si avvicina al reale, più i due mondi si confondono e la sottile barriera che li separa si attenua, fino a scomparire. Tuttavia, alcuni autori sostengono che siamo ancora lontani da un futuro del genere. Ad esempio, l’assenza del senso del tatto e alcune tracce evidenti (la realtà virtuale sembra ancora troppo simile a un fumettone) ci aiutano a comprendere che la situazione che abbiamo di fronte non ha nulla di reale.

Emozioni e shock nel metaverso

Questo però non vuol dire che il metaverso non possa essere altamente impattante, anche in negativo, sulla mente e sulla psiche. In un articolo recentemente apparso su: Frontiers in Psychology, la ricercatrice Gonzales Tapia osserva come l’utilizzo ludico del metaverso ponga comunque il problema di tracciare un limite a ciò che è consentito o meno, in quanto la virtualità offre molti rischi non solo di abuso emotivo, ma anche di manipolazione per via della sua immersività e capacità di imitare la realtà.

Un altro studio, condotto confrontando l’esperienza di una visita virtuale ad un museo con una reale, ha riscontrato attivazioni emozionali molto simili in entrambi i casi, cosa che porterebbe a concludere che uno schock emotivo virtuale sia del tutto analogo a uno reale, sia in termini di dolore che di danni.

Questo risultato sembra confermato da un altro studio condotto sulla sensazione di meraviglia generata in contesti virtuali, che risulta comunque molto più forte di quella che si potrebbe provare guardando un video.

Crimini virtuali e crimini reali

In conclusione, anche se l’esperienza virtuale resta oggi ancora distinta e (fortunatamente) distinguibile da quella reale, ciò non esclude assolutamente che una brutta avventura nel metaverso non possa creare e lasciare tracce e danni, anche importanti, alla vittima.

Se n’è già accorta la polizia di stato, che ha cominciato a dedicare a questo tema giornate di formazione, con particolare riferimento ai più giovani. Veniamo così ad apprendere che già oggi estorsione, minacce e stalking virtuali sono repressi e puniti senza alcuna distinzione tra mondo reale e virtuale.

Ma l’aspetto più interessante di questa materia è il ruolo che possono assumere le neuroscienze: le ricerche si stanno rivelando preziose per capire alcuni aspetti centrali di questi comportamenti (come ad esempio il danno alla vittima, che purtroppo è ben reale) aprendo il campo a quello che si potrebbe chiamare neurodiritto, ossia l’applicazione di queste nuove metodologie alla giurisprudenza e alla produzione normativa.

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Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

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