Neuroscienza del terrorismo: l’importanza delle narrazioni

Le narrazioni possono influenzare la radicalizzazione degli individui e la diffusione del terrorismo? E in caso di risposta affermativa in quale modo?

La risposta a interrogativi di questo tipo è cruciale per l’impatto che ha su alcune scelte politiche, educative e giuridiche. Si pensi soltanto ai cosiddetti reati di opinione o alla censura, misure che partono proprio dall’idea che certi tipi di narrazione e storytelling siano intrinsecamente pericolosi e che vadano dunque vietate.

D’altro canto, i gruppi radicali e gli estremisti sono sempre stati fortemente interessati alle sottili armi della propaganda. Il motivo? La nostra mente è cablata per cercare significato e connessioni nei racconti, il che rende la narrazione un potente strumento per plasmare le convinzioni e le prospettive di un individuo, cosa di cui qualsiasi estremista sembra essere ben consapevole.

L’esperimento di Schachter & Singer

Una conferma indiretta del ruolo potente delle narrazioni e delle storie nella formazione non solo delle nostre decisioni, ma della stessa interpretazione della realtà viene da un esperimento condotto negli anni ’60 da due psicologi, Schachter e Singer.

I risultati hanno dimostrato che l’attivazione fisiologica da sola non è sufficiente per provare emozioni come l’allegria o la rabbia. È necessario anche un contesto psicosociale adeguato. Le emozioni non sono semplicemente pulsioni che erompono dal di dentro, ma ha una forte rilevanza anche l’interpretazione data dal soggetto a ciò che sta vivendo tramite le sue narrazioni interne.

Non è quindi sorprendente arrivare alla conclusione che quando si tratta di ideologie estremiste narrazioni e storytelling giochino un ruolo cruciale nel reclutamento e nell’indottrinamento.

Gli studi recenti sul ruolo delle narrazioni nel terrorismo

Negli ultimi vent’anni sono stati condotti numerosi studi per verificare a livello empirico se l’esposizione continua di un soggetto alle narrazioni sia in grado di modificare o influenzare le opinioni e i comportamenti delle persone. La risposta degli studiosi è affermativa, il che proverebbe il grande potere dello storytelling come arma di persuasione.

Kurt Braddock, esperto di comunicazione e professore universitario, ha in particolare approfondito il ruolo dello storytelling nelle strategie politiche e di reclutamento dei gruppi più radicali per concludere che le narrazioni vengono utilizzate dalle organizzazioni terroriste come una vera e propria arma di persuasione addirittura a livello strategico.

Nel suo libro: Weaponized Words: The Strategic role of Persuasion in Violent Radicalization and Counter-Radicalization (2020), lo studioso dimostra che purtroppo i terroristi sono in grado di usare abilmente una gamma di strumenti di persuasione assai ampia su qualsiasi tipo di canale, social compresi.

Come vengono utilizzate le narrazioni dai gruppi estremisti

Altri studi hanno cercato di indagare in modo più preciso le caratteristiche dello storytelling attuato dai gruppi estremisti, radicali e terroristi. Lo psicologo ed esperto di sicurezza John Horgan sostiene che i meccanismi di persuasione dei vari gruppi di terroristi sono del tutto analoghi a quelli utilizzati quotidianamente da ogni altro attore, siano essi stati, gruppi non violenti o aziende.

In sintesi, come ogni buon comunicatore il gruppo di terroristi tipico cercherà di creare delle narrazioni che facciano leva sulle credenze, le paure e il senso di identità della popolazione target.

Ad esempio, un gruppo di suprematisti bianchi potrebbe utilizzare uno storytelling incentrato sullo scontro di razze, il tentativo del resto del mondo di eliminare i bianchi, l’esaltazione di figure eroiche di razza bianca, mentre i terroristi islamici preferiscono rifarsi a tematiche religiose, ad esempio la vittoria di Maometto sugli abitanti della Mecca. Le Brigate Rosse si appellavano invece a concetti come lo sfruttamento, la giustizia sociale e lo scontro di classe.

In ogni caso, una caratteristica dello storytelling dei gruppi radicali è la polarizzazione e lo scontro tra un noi-i buoni, e il nemico gli altri-i cattivi. Il nemico viene ovviamente disumanizzato e denigrato, in modo da diminuire o annullare l’empatia che i militanti potrebbero provare e giustificare le loro azioni aggressive.

Un aspetto particolare dello storytelling dei terroristi è la funzione delle narrazioni non solo per arruolare, veicolare i valori del gruppo, convincere e plasmare la mente degli adepti, ma anche giustificare i fatti di violenza precedentemente compiuti per legittimarli a livello interno.

Terroristi, emozioni e intensità del messaggio eversivo

Altra caratteristica delle narrazioni dei gruppi di estremisti di qualsiasi tipo e genere è la loro intensità. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che un messaggio chiaro, vivido e intenso risulta essere più persuasivo e impattante. Ciò spiegherebbe alcuni video particolarmente truculenti e sanguinari di alcuni gruppi di terroristi islamici.

L’intensità di un messaggio, tra l’altro, è fortemente correlata alle emozioni, di cui le neuroscienze hanno evidenziato il ruolo chiave nel processo decisionale, e le ideologie estremiste spesso sfruttano messaggi a forte impatto emozionale per creare un legame emotivo con i loro seguaci.

La paura, l’ira e il senso di ingiustizia possono essere infatti intensificati attraverso narrazioni che dipingono il mondo in termini di conflitto e oppressione. Ciò può portare a una sorta di tunnel emotivo, in cui la razionalità viene sopraffatta dall’impulso emotivo.

Una possibile spiegazione della crudeltà dei terroristi

La necessità di lanciare messaggi particolarmente vividi al gruppo di riferimento potrebbe spiegare in parte determinati comportamenti che a prima vista possono apparire del tutto irrazionali, come i crimini particolarmente efferati commessi da parte di alcuni gruppi di estremisti islamici.

Tagliare la testa agli infedeli o sottoporre ad altre forme di supplizio coloro che sono considerati nemici dell’islam potrebbe essere infatti un modo di legittimarsi agli occhi dei fedeli non solo come i veri difensori dell’islam, ma anche come i soli in grado di esaudire i desideri profondi di rabbia, frustrazione e vendetta di coloro che sognano una riscossa contro l’occidente e i valori che rappresenta.

Alcuni studi neuroscientifici hanno confermato il ruolo della rabbia nel processo di radicalizzazione individuale che sfocia nel terrorismo, ad esempio le ricerche condotte dalla ricercatrice Cory Davenport.

Le variabili individuali

Lo storytelling e lo sfruttamento della rabbia da solo non bastano per creare un terrorista. Un ruolo importante viene rivestito anche dalle caratteristiche e dalle predisposizioni individuali.

In una recente ricerca, sempre Kurt Braddock ha indagato con alcuni test la possibile relazione tra narrazioni e comportamenti o credenze dei gruppi di terroristi e alcune specifiche caratteristiche psicologiche, quali il machiavellismo, il narcisismo, il sadismo.

I risultati di questa ricerca sembrano indicare nel machiavellismo la caratteristica individuale più in grado di interagire a livello individuale con lo storytelling classico dei gruppi radicali, cioè in grado di stimolare un soggetto alla radicalizzazione delle sue posizioni politiche.

Il machiavellismo viene definito dallo studioso come la tendenza a vedere altri individui come oggetti o strumenti da manipolare in vista dei propri fini, senza riguardi etici o empatia. Sulla base di questa definizione, il risultato dimostrato dallo studioso certamente non stupisce.

Le narrazioni come terapia al terrorismo

Chiarito il punto che lo storytelling dei gruppi estremisti ha un ruolo decisivo nella formazione della visione del mondo dei terroristi, nelle loro scelte e decisioni, c’è però anche da dire che le narrazioni possono essere utilizzate anche come rimedio e terapia.

Una ricerca condotta in Germania in merito alla propaganda integralista islamica ha infatti dimostrato il potere dello storytelling sia a incentivare, ma anche a disincentivare terrorismo e fenomeni di forte intolleranza religiosa.

In conclusione, le neuroscienze stanno fornendo una prospettiva illuminante sulle connessioni tra narrazione ideologica e comportamenti terroristici. Comprendere come le ideologie estremiste influenzano il cervello può aiutare a sviluppare strategie più efficaci per prevenire la radicalizzazione e contrastare il terrorismo.

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Immagine di senivpetro su Freepik

Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

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